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Una sferzata “politica” al Terzo Settore

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso programmatico al Senato lo scorso mercoledì 17 febbraio ha ringraziato moltissime categorie di persone che nell’ultimo terribile anno si sono prodigate per alleviare le non poche  difficoltà che la pandemia ha comportato, sotto l’aspetto della salute pubblica, del lavoro, della società.

La prima categoria citata dal neo Presidente del Consiglio è stata quella dei volontari che, ha detto, “tutto il mondo ci invidia”.

In effetti, a leggere l’articolo di Dario di Vico nell’inserto “7” del Corriere delle Sera del 20/01/2021, ci si rende conto che i volontari in Italia sono un vero esercito: si parla infatti di circa 7 milioni di persone che prestano la loro opera in maniera più o meno ufficiale in 350.000 istituzioni no profit sparse per tutto il Paese.

In questo articolo vengono citate alcune interessantissime osservazioni di Giuliano Amato, giudice della Corte Costituzionale, di solito assai parco di parole. Sono parole provocatorie rivolte a questo esercito silenzioso e laborioso di persone che impiegano tempo ed energie a coloro che sentono meno fortunati.

Parole che fanno riflettere. Tutti, non solo i volontari.

Volontari, la politica chiama

“Oggi il problema è fornire classi dirigenti politiche a un Paese che non ha più serbatoi da cui attingere. Nel volontariato, invece, ci sono milioni di persone che si occupano quotidianamente dell’interesse collettivo.

E allora è tempo che il Terzo Settore la smetta di lamentarsi della mediocrità del ceto politico e dica “tocca a noi”. Del resto, “non si occupano dei deboli? Ebbene, oggi tra i deboli purtroppo c’è la democrazia”.

Giuliano Amato, nella sua veste di giudice della Corte Costituzionale, è attento a modulare nella quantità e nei toni i suoi interventi pubblici e una delle rare eccezioni l’ha fatta per un webinar della Fondazione per la Sussidiarietà sullo stato della salute della democrazia. Tutti, dopo i video sulle code per il pane a Milano, si sono profusi in ringraziamenti per il Terzo Settore e il welfare spontaneo all’insegna del “se non ci fossero loro” ma Amato fa un paio di passi in più e la sua suona come una vera chiamata. Finora il Terzo Settore ha rifiutato di assumere su di sé responsabilità maggiori perché temeva di diventare una nuova cinghia di trasmissione del potere politico, “oggi però il problema sembra superato”. Il Paese sta prendendo coscienza di non avere ricambio della classe politica e nel frattempo i vecchi serbatoi hanno finito l’acqua. Associazioni e Sindacati assomigliano ad altrettanti musei delle cere, hanno smarrito il senso della loro azione e molto del loro tempo è speso non nella cura degli altri ma dei riti interni. Un giudizio, questo, ormai diffuso e documentato dai risultati di una spigolosa indagine realizzata da Nando Pagnoncelli e pubblicata di recente.

Dal canto loro le istituzioni no profit in Italia sono 350mila e hanno 844mila dipendenti, rappresentano l’8% del sistema produttivo italiano ma attorno a loro c’è una corona molto più ampia di circa 4 milioni di persone che fanno volontariato attraverso una o più organizzazioni. E non è tutto. Ci sono ancora altri 3 milioni di persone che prestano la loro opera direttamente cioè senza alcuna intermediazione organizzativa. La fascia prevalente è tra i 40 e i 60 anni. L’elemento che con maggiore probabilità predice se una persona deciderà di impegnarsi nel volontariato non è il reddito ma  titolo di studio e livello di consumo culturale. Più si è colti (e non ricchi), più si fa volontariato. E ora, sostiene Amato, dovrebbero fare anche più politica.

Dario Di Vico (“7”, inserto del Corriere della sera del 20/01/2021)

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