1968, il salto alla Fosbury rivoluziona la tecnica del salto in alto.
A volte per innovare bisogna andare indietro
1968, città del Messico, finale del salto in alto maschile. In gara sono rimasti solo due Americani: E. Caruthers e R. Fosbury. L’asticella è arrivata a 2 metri e 24 centimetri.
I due atleti hanno già fallito due tentativi ciascuno. Fosbury si gioca la sua ultima chance. Il pubblico, stupefatto dalla bizzarra tecnica del giovane atleta, trattiene il fiato.
Flashback: cinque anni prima, una scuola dell’Oregon. Lo studente Fosbury fa i suoi primi deludenti tentativi di salto in alto. Frustrato, si sfoga con il suo allenatore. La tecnica “ventrale”, che si usa da decenni per il salto in alto (l’atleta supera l’asticella con busto e piedi rivolto verso il basso), non fa per lui. Pian piano, a forza di tentativi, sviluppa un modo di saltare che consiste nel curvare l’ultima parte della rincorsa e affrontare l’asticella di schiena. Quando lo vedono saltare di schiena, nessuno gli crede, per primo il suo allenatore, che però si ricrede quando Fosbury, centimetro dopo centimetro, arriva alle qualificazioni in cui si scelgono i tre saltatori per l’Olimpiade. All’ultimo salto Fosbury è al quarto posto a causa di alcuni errori nelle misure precedenti. Il primo in classifica sbaglia tre salti di fila: Fosbury va per un soffio all’Olimpiade.
Ultima rincorsa a Città del Messico: Fosbury salta faccia al cielo e, prima ancora di ricadere, solleva le braccia in segno di esultanza, 2,24 medaglia d’oro e record olimpico. E’ nato ufficialmente il “Fosbury flop”, ancora oggi utilizzato dai saltatori in alto.
La rivoluzione di Fosbury assomiglia a ciò che lo storico della scienza T. Kuhn chiamava “cambio di paradigma”. A volte l’innovazione non avviene in modo incrementale, né rettilineo, ma passa per svolte e curve, come la rincorsa di Fosbury. Per andare avanti occorre voltare la schiena alla tradizione, fare il contrario di ciò che fanno tutti gli altri. Ma un cambio di paradigma non è facile né tantomeno immediato. Altri saltatori avevano già sperimentato tecniche simili a quella di Fosbury: alle Olimpiadi di Monaco del 1972, ventotto saltatori su quaranta usavano la nuova tecnica di Fosbury ma la medaglia d’oro fu vinta da J. Tarmak con un salto ventrale. Ancora nel 1978, saltando ventralmente, V. Jashenko riuscì a stabilire il nuovo record del mondo con 2 metri e 35. Fu il canto del cigno del vecchio paradigma, mai più salito così in alto.
Una rivoluzione tecnica come quella di Fosbury chiede talento, costanza, tempismo e fortuna. Se alle qualificazioni che gli aprirono le porte per le Olimpiadi il rivale non avesse fallito il salto decisivo, oggi si userebbe ancora lo stile ventrale?
Tratto da M.Bucchi “Per un pugno di idee” storie di innovazioni che hanno cambiato la nostra vita